Truffa in autostrada
Mio zio mi portava con sé in macchina sull’autostrada. Con lui c’era un tale che si faceva chiamare Califfo. Per prenderlo in giro quando pensavo a lui pensavo Calippo. A volte avevo paura di confondermi e allora lo chiamavo solo ”Calì”.
Mio zio era al volante. Si girava nel primo pomeriggio. Si cercavano quelli che avevano l’aria da bravo ragazzo, che guidavano da soli, che erano inoffensivi. Mio zio aveva una faccia che se parlava italiano e senza arrabbiarsi poteva anche sembrare gentile, ma quando s’incazzava faceva paura a guardarlo. Gli si gonfiavano le vene del collo e diventava rossissimo e i tatuaggi, che erano lì stesi sulla sua pelle senza dare nell’occhio, era come se prendessero vita. I tatuaggi erano malfatti. Mi disse una volta che glieli aveva fatti un tizio in prigione che si chiamava Vlad. Vlad una volta era stato il re dei gitani. Ora girava l’Europa in un circo di cui era impresario e nel quale si esibiva come trapezista. Io un trapezista tatuato non l’avevo mai visto ma mio zio m’aveva raccontato che era così e allora doveva essere vero.
Allora c’è questo ragazzo, avrà avuto un po’ più di una ventina d’anni. Io ne avevo forse sei o sette. Il ragazzo portava gli occhiali ed era solo. Guidava un’Alfa 33 con uno spoiler. Un’Alfa rossa. Mio zio gli si accosta in corsa. In un tratto in curva, mentre il ragazzo è distratto, lo tampona leggermente ma il rumore è atroce. Mi dice, prima dell’impatto, Attenzione. Poi gli ci piazziamo dietro e il Califfo comincia a far segni. Il ragazzo è confuso, sembra spaventato. Ci guarda dallo specchietto retrovisore, alza una mano come per dire: Scusate. Il Califfo se ne fotte e gli fa segno di accostare alla prossima piazzola. E lui lo fa.
“Guarda che hai fatto”, gli fa mio zio. Il Califfo gli è a fianco ma non dice una parola. Serve solo a creare la disparità numerica. E poi subito indica me in macchina. “Siamo con un bambino, ha avuto paura”. Il ragazzo mi guarda, io guardo lui. Non so se devo sembrare impaurito. Non credo di sembrarlo e non so far finta. Ma quello che succede mi fa profondamente schifo. Fanno un po’ la commedia, ma il ragazzo non è completamente scemo e magari è anche un po’ al verde. “Conosco un meccanico che può tirar via i graffi gratis”. Però si vede che ha paura. E se questi hanno una pistola? E se questa fosse una rapina? Scemo non sembra. Ma ingenuo, quello sì. Forse addirittura buono.
Mio zio cambia faccia. Resta calmo ma sa che gliel’hanno fatta. Non lo seguirà dal meccanico perché quello poteva essere meno ingenuo. Non valeva la pena rischiare. La sua pelle diventa rossa e i tatuaggi (raffigurano draghi, tigri, grifoni, artigli e zanne) sembrano saltargli dalla pelle e voler sbranare il malcapitato. “Va bene, facciamo così. Quanto mi vuoi dare per la riparazione?” Il ragazzo prende una banconota e gliela offre. “Sta’ più attento la prossima volta.” Risalgono in macchina. Mio zio bestemmia, il Califfo si associa. “Scendiamo e accoltelliamolo”. “No, lascia stare. E non dire queste cose davanti al bambino.”
Come se facesse alcuna differenza.